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La res-comune non è il semplice bene comune, ma anche il male comune. È lo spazio e il tempo a cui non possiamo sottrarci e sul quale è necessario lavorare insieme per vivere in modo civile.

La res-comune, insieme ai concetti di religione disarmata, decrescita per le società opulente e capovolgimento strategico dell’importanza di genere, ha in sé la potenzialità di cambiare il nostro approccio al futuro del mondo.

È lo spazio e il tempo della prossimità, dell’incontro-scontro tra le esistenze prossime e da cui non bisognerebbe mai fuggire per creare perniciose terze parti e deleghe di responsabilità, se si ha la forza per superare e rendere prolifico questo incontro-scontro. È lo spazio improprio, comune e condiviso.

Il “comune”, etimologicamente, è la munificenza condivisa, l’obbligo spontaneo, la consapevolezza di essere non solo uno, ma due, tre, quattro… È il munus della pluralità. Il cum-munis. Il dono della molteplicità. Il fare le cose insieme. Il plusvalore dell’armonia.

In estrema sintesi, la res-comune può essere spiegata con una classica situazione che declina il concetto allo spazio comune del quotidiano: lo spazio comune è quel luogo in cui se trovi una cartaccia per terra la raccogli, diversamente dallo spazio pubblico dove se trovi la stessa cartaccia per terra la guardi sperando che passi il netturbino o al peggio, neppure la guardi.

Lo spazio comune è partecipazione, lo spazio pubblico è delega.

Lo spazio pubblico come estensione del diritto e del dovere dello spazio comune, ha il suo valore positivo se tenuto sempre come dipendente da questa estensione. Nel momento in cui lo spazio pubblico diventa indipendente, una vera e propria res-pubblica (una proprietà dello Stato), il rapporto di estensione scompare per fare strada alla nascita di una nuova parte che non avendo interesse “obbligato” nello spazio comune* può costruire rapporti di forza tra le parti, rapporti sconosciuti e imprevedibili tra le stesse che vogliono vivere bene insieme nello spazio comune. Nascono gli apparati pubblici e le genealogie autoreferenziali dei relativi burocrati, con tutte le loro immense proprietà: il demanio dello Stato.

*La delega può cancellare l’interesse”obbligato” nello spazio comune perché la terza parte bada non solo a fare l’interesse “contratto” tra le due parti, ma pure il proprio interesse, che può deviare “senza  scrupoli” dall’interesse comune.

Il contrario della res-comune non è tuttavia la res-pubblica, ma la terra di nessuno, la terra intesa non come improprietà comune, ma come spazio in cui ognuno può fare quello che vuole, come fosse una sua proprietà, basta che usi una forma qualsiasi di pre-potenza, anche la minima violenza sull’equilibrio ambientale dello spazio stesso. La terra di nessuno spesso è preda delle mafie a causa dell’incuria delle genti che trasformano gli spazi comuni (come l’aria, l’acqua, i prati) da improprietà comuni a proprietà illecite, non lecite secondo una minima civiltà delle relazioni.

Se lo spazio comune è cura e partecipazione, se lo spazio pubblico è servizio e delega, lo spazio di nessuno è infatti terreno fertile per la pre-potenza e la mafia, le quali forze non si curano della terra, ma la depredano. Uccidono la prossimità. Si deduce che la Terra – nel suo insieme – dovrebbe essere sempre pensata come uno spazio comune, che diventa pubblico solo in casi estremi di servizio, quando la cura partecipativa non riesce a gestire la complessità.

La Terra va perciò pensata come la Res-Comune per antonomasia, lo spazio comune curato da tutti e in ogni momento poiché mai possiamo staccarci da questa ultima prossimità. Essa è la prima e inalienabile improprietà comune, condivisa, che supera la nostra legittima proprietà sufficiente. Questa prossimità inalienabile, crea un’appartenenza, un’esserne parte. Nel caso biunivoco essere umano/Terra vale la formula confessionale del matrimonio (mater-monium): finché morti non ci separi.

La “terra di nessuno” – costruzione tipicamente umana – è la terra dove si consumano le guerre, il dramma irrisolto dei più orribili conflitti e avvengono i delitti più efferati. È un terreno che può essere minato, bruciato, calpestato dalla pre-potenza. È il campo di battaglia dove si lasciano marcire inutilmente i morti, il prato ipocrita della dimenticanza.

Postilla sull’opinione comune rispetto all’opinione pubblica e di massa e l’impatto di queste sulle democrazie: il comune è lo spazio della responsabilità condivisa e dell’attivismo; il pubblico è lo spazio della responsabilità delegata e del funzionalismo per conto terzi; questo vale anche per quanto riguarda le opinioni: l’opinione pubblica può degradarsi in opinione di massa, senza autonomia di ragione ed argomenti solidi, mentre l’opinione comune, no. Lo stesso vale per gli spazi. Uno spazio comune se rimane tale, non si degraderà mai in uno spazio sporco e massificato, ma resterà sempre uno spazio civile, di responsabilità attiva e relazione. Ne consegue che il concetto della res-comune può diventare il fondamento di una democrazia attiva, e non passiva, di una democrazia vigile e non di una democrazia domestica e servile. L’homo videns di Giovanni Sartori docet.

Il futuro politico della Res-Comune è la Res-comunanza, la democrazia dei corpi attivi. Ma su questo sviluppo di concetto ritorneremo con una cartuccia apposita.

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Alberto Peruffo | Montecchio Maggiore | VI
PRIMA PUBBLICAZIONE 11 GENNAIO 2016

modifiche //
23 novembre 2018
15 giugno 2020

4 thoughts on “RES-COMUNE

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