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Con Civiltà delle Relazioni, si intende la civiltà delle relazioni di “fiducia” e di “prossimità”, dove i due aggettivi composti insieme e lasciati sottintesi vogliono esprimere il significato di una relazione positiva, concreta, non fondata sulla lontananza mediata da un mediatore/intermediario, soprattutto per l’inserimento di quell’elemento esterno che noi chiamiamo terza parte e che può prendere la forma di “pubblico”, di “denaro”, di “contratto”, di “transazione”, nelle loro accezioni negative, ossia di tutto ciò che rende troppo remoto (astratto), falsamente vicino, mediato da un mediatore, la relazione tra le due parti. La lontananza rimane utile come spazio da percorrere insieme per incontrarsi e scambiarsi le reciproche buone pratiche e diversità (come “indomesticità”), ma se diventa un avvicinamento forzato da un mediatore e comporta una corruzione della relazione, un abuso degli spazi comuni, un esagerato consumo delle energie, uno spreco irreversibile delle risorse, essa non produce più civiltà, ma conflitti e ingiustizie.

La relazione di per sé – come concetto – indica un rapporto buono (una vicinanza consensuale, un’armonia o una ricerca di essa) tra due parti. Il contrario della relazione è la chiusura, l’assenza. Il suo declino, fino al termine opposto, la relazione negativa, è quel salto “quantico” operato mediante l’intervento di un surrogato – la terza parte – che garantisce la relazione, ma ne rovina la qualità. Il mediatore – nella sua veste peggiore di intermediario – certifica l’egoismo delle parti e la loro chiusura, il non volere comporre le diversità e propone la compromissione dalla quale trae il suo guadagno. La mediazione per opera di un mediatore – a gradi diversi [per mediatore/intermediario v. CONTRATTO] – rompe la possibile “cascata delle prossimità”, il connettersi virtuoso di molteplici singole parti che possono mettere in connessione lontananze anche considerevoli. Il mediatore di per sé – se contenuto e necessario – non è un male, ma lo può diventare, specie se diventa il centro del rapporto, ossia un vero e proprio inter-mediario, con vita a sé. Il quale, se diventa un centro grande (di potere) e incontrollabile, può generare i più grandi mali.

In parole quotidiane, mangiare un frutto “fresco”, un “prodotto a sottocosto”, un'”insalata improbabile” per il suo esotismo, un'”acqua straniera” che arriva dall’altra parte del mondo, “appetibile” in questa parte di mondo, è un atto di quotidiana barbarie (termine etimologicamente pertinente) che nasconde l’interesse e il lavoro oscuro di pre-potenze che inaridiscono, addirittura uccidono le relazioni di fiducia e di prossimità nei luoghi di origine, questo grazie a dinamiche di gestione delle risorse comuni, falsamente “pubbliche” o “private”, sconosciute ai consumatori e in mano ai grandi centri di potere, siano esse oligarchie o finte democrazie, manovrate da abili e potentissimi plutocrati, che rendono per loro utile e proficuo rompere lontananze altrimenti impossibili, impraticabili, irraggiungibili mantenendo rapporti di civiltà, schiavizzando essere umani e devastando risorse ambientali.

La lontananza è una risorsa per la diversità e la ricchezza che questa raccoglie, ma non deve mai diventare motivo di sopruso sulle parti prossime e vicine per far crescere spropositati centri di potere che sono la morte delle singole parti lontane. Bisogna incontrarsi consumando il meno possibile, senza consumarsi, senza farsi consumare da prepotenti terze parti.

Siamo circondati da “mediatori delle lontananze”, a volte creatori di lontananze artificiali – intermediari – che contrattano il prezzo della mediazione a costi spesso esorbitanti e controproducenti rispetto al valore dell’operazione e al beneficio-esigenza di chi la richiede. Dagli antichi sciamani agli attuali imbonitori, passando per il clero di ogni consesso sociale, in termini antropologici, l’alleanza tra lo sciamano (l’archetipo dei mediatori) e il capo del villaggio può portare a insondabili dominanze sul popolo, sulle masse di persone che necessitano di avvicinare l’inavvicinabile.

Tra gli amici e i buoni vicini non c’è alcun bisogno di una terza parte. Di un mediatore. Anche per le lontananze, meno mediatori abbiamo nelle relazioni, migliori queste risulteranno. Il deterioramento e la moltiplicazione incontrollata dei mediatori non è sostenibile in una Civiltà delle Relazioni, il cui baratro è ciò che si potrebbe chiamare la Civiltà dei Mediatori.

Una Civiltà delle Relazioni si fonda su alcuni punti che cercheremo di sviluppare in questo contenitore di pensiero.

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Alberto Peruffo | Montecchio Maggiore | VI
PRIMA PUBBLICAZIONE 4 FEBBRAIO 2016

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3 thoughts on “CIVILTÀ DELLE RELAZIONI

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